06.10.07
A proposito del concetto di etica
di DAVIDE DI FRANCIA
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A proposito dell'intervento di Fabrizio e della replica di
Giorgio.
Chiedo scusa per occupare altro spazio nel merito di una
questione che ha già spazientito a sufficienza. Sarà una
brevissima aggiunta. Giorgio si chiedeva giustamente che
diavolo intende Perrella con etica? Non mi permetto di
rispondere solo perchè non sono sicuro che lo farei in
modo
del tutto appropriato. Rimando per chi fosse interessato a
due luoghi appassionanti di agomentazione dove è possibile
avvicinarsi ad una possibile risposta: il seminario
sull'etica di Lacan e il bellissimo libro "Il tempo etico"
di Perrella. Si tratta di due luoghi psicanalitici. Non
credo sia facile accedere al senso dell'etica che intende
Perrella a priscindere dalla sua esperienza psicoanalitica.
Quindi un campo di esperienza individuale e molto pratico.
Ho sempre pensato che gli psicoanalisti dovrebbero dedicare
un pò di tempo a spiegare il concetto di etica
psicoanalitica, perchè dare per scontato che chi ascolta
capisca con il solo supporto del termine è del tutto
irrealistico. E' vero che chi vuole può capire ma non si
può pretendere che tutti vadano a leggersi i testi più
adatti. Inoltre mi sembra del tutto evidente che questo
termine è pensato in tuttaltro modo sia nella filosofia
che
nel senso comune. Aggiungo che l'etica non è la morale,
non
ha molto a che vedere per esempio con il codice deontologico
e l'etica professionale. Queste sono piuttosto il sintomo di
una mancanza di etica. Un pò come Paolo di Tarso trattava
la
Legge: una stampella a sostegno dell'incapacità di amare e
di essere giusti come Cristo. Ma non può essere la Legge a
fare la giustizia perchè questa dipende solo dall'atto "giusto". Si può essere iniqui nel rispetto della legge
(vedi Previti e Berlusconi) e si può essere giusti nel non
rispetto della legge (vedi Antigone). Ma finchè non si
riesce ad essere giusti è meglio rispettare la legge
perchè
questa nasce comunque con l'intento di aiutare ad esserlo.
Scusate se torno ad un livello molto più basso ma prima di
tutto l'etica ha a che fare con l'atto che ogni uomo compie
ogni volta che sceglie, anche quando non nè è
consapevole.
La morale, la teoria, la conoscenza, il transfer verso il
soggetto supposto sapere, ecc... sono tutte stampelle che
utilizziamo per risparmiarci ogni volta di compiere un atto
nel senso pieno. Nel discorso sul metodo Cartesio ha
effettuato questa operazione di incontrare al di là di
tutte
le sovrastrutture simboliche il reale della propria
soggettività fondante il mondo. Ogni volta il mondo è
quello
che abbiamo più o meno "scelto" che sia. Non nel senso di
una produzione delirante o di idealismo assoluto, ma nel
senso che il mondo in sè non esiste ed esiste solo un
mondo
relazionato a noi e alla nostra possibilità di
accoglierlo.
Per gli antichi ad esempio era piatto, fermo, ecc... Quello
che è il mondo in sè non ci è ne mai ci sarà
accessibile. La
scienza e la filosofia sono tentate dall'idea di non aver
bisogno di rifondarsi etica mente ogni volta convinti che ci
si possa accontentare della fondazione che Cartesio ha fatto
una volta per tutte e per tutti. Questo atteggiamento
contribuisce molto alla produzione di questa enorme pigrizia
ed indifferenza che caratterizza il tempo in cui viviamo. Ma
basta guardare con un pò di attenzione e ci rendiamo conto
che non è così. Il fisico non è soggettivamente
escluso
dall'esperimento perchè ad esempio è in base alla sua
scelta
che una particella si manifesta come corpo o come energia.
Il principio di indeterminazione stabilisce che solo l'atto
osservativo fissa la realtà della materia. Ma non voglio
addentrarmi in un ambito che non è il mio e con sò
maneggiare in modo appropriato. Parlare dell'atto e
dell'etica come di qualcosa di generale o di fondante
l'Essere in generale significa parlare dell'atto di Dio che
si dice sia inconoscibile. Il nostro atto è invece molto
più
tangibile e conoscibile anche se un pò più difficile da
trasmettere.
Davide di Francia
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